GIORGIO ANTONUCCI

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Cominciai a capire che la medicina non funzionava quando entrai negli ospedali e mi accorsi che le relazioni con i vivi sono condotte con la stessa indifferenza che si ha verso i morti. E scoprii che la nostra medicina è un intervento sull’oggetto da accomodare. [...]

 Appare bizzarro, ed è terribile e disumano che, nel momento in cui una persona sta soffrendo, non ci sia il minimo interesse umano per quanto prova. È un modo che facilita la morte, un modo accettato passivamente da tutti, come se fosse naturale. L’ospedale così com’è oggi non risponde assolutamente alle necessità dei cittadini; è un luogo dove si va per essere riparati come degli oggetti, o dove si va a morire senza che nessuno prenda in considerazione il fatto che non siamo degli oggetti, bensì persone.(Giorgio Antonucci)

continua

OMOSESSUALITA', CARCERE E PSICHIATRIA

OMOSESSUALITA', CARCERE E PSICHIATRIA

Il Caso Braibanti, di Barbara Lalle, con un’intervista ad Anna Grazia Stammati (presidente del Telefono Viola)

E' la prima volta che vado a Spazio 18b, è una scoperta piacevole questo piccolo teatro che ha aperto da appena due mesi a Garbatella, storica periferia romana con stagione 2017/2018 che i direttori artistici Jacopo Bezzi e Massimo Roberto Beato, hanno strutturato in 7 spettacoli, 2 rassegne ed altre iniziative culturali non solamente teatrali.

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Sessualità, genere, omofobia e società sono i temi ricorrenti nel cartellone: il primo spettacolo con cui è iniziata la coraggiosa avventura dello Spazio 18b, è stato “Max&Max”, la vita di una studentessa bisessuale e un ragazzo gay, il secondo è “Il caso Braibanti”, opera già cult nata all’interno della rassegna “Garofano Verde – Scenari di teatro omosessuale” a cura di Rodolfo di Giammarco, e che narra una triste storia di omofobia tutta italiana che si concretizza nel processo ad Aldo Braibanti, ex-partigiano torturato dai nazifascisti, artista, filosofo e naturalista.

Sono presente alla prima del “Caso Braibanti”, perfettamente accompagnata. Ho invitato ad esser con me, vicina di posto, Anna Grazia Stammati, la Presidente del Telefono Viola, storica associazione impegnata contro casi di violenza ed abusi psichiatrici, docente presso il carcere di Rebibbia e presidente del CESP (Centro studi scuola pubblica). La triste e violenta vicenda, diretta da Giuseppe Marini, è una storia di violenza psichiatrica, di reclusione, di istituzioni totalitarie, penitenziarie e non, di perdita dei diritti e omofobia. Non potevo avere interlocutrice migliore per confrontarmi a fine spettacolo.

Che ha inizio.

Una luce cianotica, due sedie, due voci e uno strumento: Mauro Verrone con il suo sassofono, gli attori Fabio Bussotti e Mauro Conte fanno affondare lo spettatore nel dolore di Aldo Braibanti e di Giovanni Sanfratello, l'aria si fa gravosa.

L'opera si fonda su un meticoloso lavoro di Massimiliano Palmese: requisitorie, epistole, documenti di archivio, consulenze mediche  narrano con precisione i fatti processuali.

La figura del Braibanti, con la sua delicatezza e saggia tranquillità finemente si incarna in Fabio Bussotti, quella di Sanfratello, disposto al sacrificio pur di non rinnegare il suo maestro, è consegnato alla veemenza di Mauro Conte. Gli attori danno corpo e voce anche a tutti gli altri personaggi della storia: i vari psichiatri di Sanfratello disumani, senza scienza e coscienza, il prete di famiglia, falsi testimoni , la madre e il padre di Giovanni dalle idee retrograde, avvocati  e il pubblico ministero.

Le asserzioni di questi sono esaltate o avversate dal sassofono di Verrone che riduce o ingrandisce,  restituendocele a volte ridicole, a volte dolenti o inquietanti.

Con forza Giuseppe Marini ci racconta di un processo di destra in cui giudici e periti colpiscono Braibanti per quello che rappresenta: il libero pensiero.

Alcuni tratti delle parole scritte a sostegno del proscioglimento di Braibanti, da Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Cesare Musatti, Dacia Maraini e Ginevra Bompiani diventano testo, diventano teatro. Ma all'epoca, pur se influenti, non bastarono.

Aldo Braibanti sconterà 9 anni di ingiusta pena in cui scriverà lettere alla madre e cercherà comunque di vivere. Morirà solo 3 anni fa all'età di 92 anni.

Giovanni Sanfratello subirà violenza psichiatrica, internamento e perdita dei diritti, affidato alla tutela del genitori antiquati, di destra, bacchettoni e interessati solamente a scongiurare con tutti i mezzi il pericolo di avere un figlio non credente, pittore ed gay.

Il finale è affidato ad un canto ed un abbraccio: Aldo e Giovanni nella realtà del teatro possono di nuovo stare insieme.

Lo spettacolo fa rivivere un'epoca che è meno lontana di quanto crediamo, purtroppo.

Proprio per l'attualità di questa storia ho voluto proporre a voi lettori un piccolo approfondimento culturale, con una breve intervista alla mia accompagnatrice d'eccezione.

Intervisto per voi  Anna Grazia Stammati, Presidente del Telefono Viola

Anna Grazia Stammati Presidente del Telefonoviola

D- Anna Grazia Stammati cosa ne pensa del caso Braibanti, recentemente riproposto nella lettura che ne fa Massimiliano Palmese?

R- Ho visto da poco il bel lavoro drammaturgico “Il Caso Braibanti"  di Massimiliano Palmese, per la regia di Giuseppe Marini, con i due bravissimi protagonisti, Fabio Bussotti e Mauro Conte e le musiche composte ed eseguite dal vivo da Mauro Verrone. L’ho trovato non solo efficace e forte, ma anche drammaticamente attuale, per i principi omofobici e illiberali e per quel potere psichiatrico che ancora,  a cinquant’anni dai fatti accaduti e a quaranta dall’abolizione dei manicomi, incatena i diversi e i non conformi al manicomio “chimico” degli psicofarmaci, facendone dei lobotomizzati farmacologici.

D- Cos’è che accomuna il caso Braibanti a quanto accade oggi in una società apparentemente progressista?

R- Che non sia cambiato molto, o che almeno ci sia un ritorno al passato,  lo dimostrano Le nuove Linee Guida sull' “educazione al rispetto” del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR), approvate il 27 ottobre scorso. Nelle linee guida si promuove un'educazione basata sulla differenza uomo-maschio/donna-femmina, quale fondamento “dell'intero orizzonte esistenziale” di ciascun individuo e si ribadisce l'attribuzione ai genitori del potere di veto e di intervento sui contenuti della didattica (e, dunque, di controllo e potere assoluto sui figli). Questo è quanto chiedono i genitori dell’autobus arancione, che girano l’Italia con lo slogan I maschi sono maschi, le femmine sono femmine. La natura non si sceglie. #Stop Gender#bus della libertà , scagliandosi contro i progetti delle scuole rivolti alla prevenzione e al contrasto dell'omofobia e delle discriminazioni. Per altro verso i manganelli utilizzati dalla polizia il 10 novembre scorso, contro gli insegnanti che protestavano proprio contro la scuola dell’omologazione e della standardizzazione degli apprendimenti, dimostra come si stia pericolosamente tornando indietro.

 

D- Cos’è che l’ha colpita di più nel dramma messo in scena?

R- Il binomio carcere e psichiatria, legato all’omosessualità. Per chi come me, agisce nei due ambiti (insegno in carcere da vent’anni e seguo con il Telefono Viola, i casi di abusi e di violenza  psichiatrica) è palpabile la sensazione di un cambiamento solo teorico, che si scontra con una realtà che agisce con modalità vecchie. Basta considerare che il carcere è strettamente di “genere” e chi dichiara di essere omosessuale al proprio ingresso in un penitenziario, rischia di essere mandato nei reparti “ghetto” dei transessuali, ai quali, spesso, vengono negati diritti riconosciuti, invece, agli altri reclusi e sono sottoposti a controlli rigidi riservati solo a loro. Questo per quanto riguarda carcere e omosessualità, per quanto riguarda, invece, omosessualità e psichiatria basti pensare ad un caso molto recente, quello dello sfortunato Andrea Villani, Bolognese, morto nel 2015, a 43 anni, dopo aver subito per una vita violenze psichiatriche per presunti comportamenti omosessuali, un caso sul quale stiamo intervenendo come Telefono Viola, grazie all’avvocato Gioacchino Di Palma e rispetto al quale siamo dovuti scendere in campo, a supporto della madre di Andrea, Mara Valdrè, che aveva iniziato uno sciopero della fame perché si voleva, per la seconda volta, archiviare il caso.

D- Molti spettatori si sono commossi di fronte alle parole del giovane Giovanni Sanfratello e Aldo Braibanti, lei che affronta quotidianamente queste problematiche, come ha vissuto la piéce teatrale?

R- Con la stessa commozione, che pur tra momenti di sottile ironia, si fa strada soprattutto nella parte finale (anzi in una delle due parti finali), ma anche con la consapevolezza che occorre resistere e lottare, come ci dice Palmese in Osservando le piante, quando Braibanti, che non ha mai più rivisto Giovanni dopo il processo, che non l’ha più cercato per paura di danneggiarlo ci dice “La forza, la costanza per resistere? L’ho imparata osservando le piante. Quelle selvatiche. Quelle che la gente chiama erbacce. La gente non sa che le erbacce riescono a bucare anche il cemento. L’uomo pulisce, disinfesta. Ma, dopo ogni disinfestazione, le erbacce rinascono”. Credo che questo sia un messaggio importante e ringrazio Palmese per questo, perché è uno di quei messaggi che dovremmo trasferire ai nostri studenti, presentando la piéce nelle scuole e scavando nel fondo delle motivazioni che ancora oggi sono alla base di una diffusa omofobia. Lo dobbiamo ad Aldo, lo dobbiamo a Giovanni, la cui mente è stata sconvolta da quel potere psichiatrico che lo ha sottoposto a elettroshock e coma insulinici per “curare” la sua omosessualità.

In scena fino al 19 Novembre

SPAZIO 18B

Via Rosa Raimondi Garibaldi, 18/B Roma

IL CASO BRAIBANTI
di Massimiliano Palmese
con Fabio Bussotti e Mauro Conte
sax live Mauro Verrone
regia Giuseppe Marini

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