GIORGIO ANTONUCCI

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Cominciai a capire che la medicina non funzionava quando entrai negli ospedali e mi accorsi che le relazioni con i vivi sono condotte con la stessa indifferenza che si ha verso i morti. E scoprii che la nostra medicina è un intervento sull’oggetto da accomodare. [...]

 Appare bizzarro, ed è terribile e disumano che, nel momento in cui una persona sta soffrendo, non ci sia il minimo interesse umano per quanto prova. È un modo che facilita la morte, un modo accettato passivamente da tutti, come se fosse naturale. L’ospedale così com’è oggi non risponde assolutamente alle necessità dei cittadini; è un luogo dove si va per essere riparati come degli oggetti, o dove si va a morire senza che nessuno prenda in considerazione il fatto che non siamo degli oggetti, bensì persone.(Giorgio Antonucci)

continua

RISPOSTA A CIPRIANO

Sui numeri 408 e 411 di“A”, rivista anarchica,sono state pubblicate due interviste sulla psichiatria, una fatta a Giorgio Antonucci da Moreno Paulon ( Psichiatria e potere), l’altra fatta a Piero Cipriano da Daniela Mallardi ( La dignità dei devianti), ringrazio per questo la redazione della rivista che pone sul tappeto la controversa e annosa questione “psichiatrica”, attraverso la diretta rappresentazione del pensiero di chi opera in quei contesti.

Leggendo le due interviste sono rimasta, però, a dir poco perplessa dal gratuito, violento e immotivato “attacco” che Piero Cipriano, lo psichiatra che si autodefinisce “anarchico-riluttante”, ha sferrato nei confronti di uno dei protagonisti della lotta per la liberazione dei degenti psichiatrizzati condotta negli anni settanta in Italia, Giorgio Antonucci, uno degli ultimi, se non l’ultimo, rimasto sulla scena internazionale a testimoniare e lottare per la liberazione della nostra società dal “pregiudizio psichiatrico”. Per questo motivo scrivo questa lettera, sperando che sia pubblicata o, almeno, inviata a Piero Cipriano di cui non ho recapiti di riferimento.

Premetto di aver letto tutti e tre i libri di Cipriano e di averli  trovati ( eccezion fatta, forse, che per l’ultimo) testi interessanti, che ho consigliato e regalato, pur tra le contraddizioni evidenti in cui si muove lo psichiatra “anarchico-riluttante”, perché in questi viene bene descritta sia la realtà “manicomiale” dei reparti degli ospedali italiani ancora destinati ai “malati di mente”, sia la pratica dell’annichilimento farmacologico dei pazienti da parte degli stessi psichiatri. 

Ma quale colpa ha commesso Antonucci, per attirarsi tale veemente aggressione, proprio lui che slegava insieme a Cotti e Basaglia i degenti e ai quali proprio a Cividale quest’ultimo inviava i casi più difficili, perché lo si aiutasse a risolverli? Strano a dirsi, quella di aver sostenuto (allora come ora) che fino a quando non si abolirà il Trattamento Sanitario Obbligatorio, ovvero il ricovero coatto, il dispositivo medico-giuridico ancora presente nella legge 180/78, che ha determinato la morte violenta di Francesco Mastrogiovanni, Mauro Guerra, Massimiliano Malzone, Andrea Soldi, uomini distanti per età, profilo e storia personale, accomunati, però, da una morte causata dalla violenza della pratica del TSO, non ci sarà reale cambiamento.“ Il manicomio non è solo un edificio, è un criterio. Fintanto che lo Stato si potrà permettere di sequestrare un cittadino per il suo pensiero, i manicomi saranno dappertutto”( Psichiatria e potere, pag 90, n 408 di “A” rivista anarchica, settembre 2016- ), dice Antonucci nell’intervista e continua, affermando che  questo ha segnato da sempre un punto di distanza con Basaglia, il quale non si è mai espresso contro il trattamento sanitario obbligatorio ( si legga a tal proposito l’illuminante intervista di Dacia Maraini a Giorgio Antonucci comparsa su “La Stampa” il 26 luglio del 1978, a pochi mesi di distanza dall’approvazione della legge 180- www.telefonoviola.it)

Appare strano che un medico dalla complessità di Cipriano, il quale denuncia gli abusi compiuti dai suoi colleghi proprio nell’ambito del TSO praticato nei reparti psichiatrici degli ospedali, di fronte a questa dichiarazione affermi, in successione, in maniera fortemente aggressiva e con intenzioni demolitorie che:  a)Antonucci è demagogico; b)che l’impresa più rilevante di Antonucci è stata troppo veloce, pretenziosa e controproducente , definendo  marginale e irrilevante l’esperienza di Cividale, durata poco più di sei mesi; c)chesi può lavorare benissimo da manicomiale in un CSM e da territoriale in un SPDC. Facendo, in fondo, ciò che Antonucci dice di fare: revocare i TSO o non convalidarli, sciogliere i legati o non legarli, etc.

Ma procediamo con ordine. 

L’Antonucci demagogo.

Gli psichiatri non usano casualmente le parole, il loro potere fa parte integrante del potere della psichiatria, non dovrebbe sfuggire, perciò, a Cipriano che il significato originario del termine è “arte di guidare il popolo” e se lo avesse utilizzato in tal senso vorrebbe dire che conosce approfonditamente la biografia di Antonucci, tanto da sapere che dal 1970 al 1972 ( dopo l’esperienza di Cividale, dunque)il medico fiorentino ha diretto il Centro di Igiene Mentale di Castelnuovo Ne’ Monti, mobilitando la popolazione contro il manicomio di Reggio Emilia e Modena e utilizzando propriol’arte di guidare il popoloper scardinare l’istituzione manicomiale (si legga a tal proposito la denuncia dell’allora direttore dell’Istituto Psichiatrico di San Lazzaro alla Procura della Repubblica per denunciare il movimento: “quando alcuni gruppi di persone entrarono nei reparti riservati ai bambini dai quattro ai dieci anni e li trovarono legati alle sedie, ci fu un momento di grave tensione, che poteva anche risolversi in vie di fatto.”Coloro che si erano presentati al manicomio per guardare dal vivo quanto accadeva agli internati, infatti, infuriati dissero: Avreste potuto anche convincerci forse che gli adulti qui rinchiusi sono pericolosi , ma perché i bambini di quattro/dieci anni legati alle seggiole?”.  

Non ci sembra però, che lo psichiatra “ anarchico-riluttante” utilizzi l’aggettivo in tal senso, quando afferma “Quello di Antonucci è un discorso demagogico. La malattia mentale certo che non esiste in quanto malattia, siamo d’accordo,[dunque  Antonucci ha ragione ndr], ma la sofferenza psichica, o il disagio, o chiamiamolo come vogliamo, quello c’è lo vediamo, e una persona così sofferente la libertà l’ha già perduta prima ancora che intervenga la psichiatria con le sue armi di precisione e repressione. Quindi non si tratta solo di liberare le persone sofferenti, dalla psichiatria, ma liberarle da quella sofferenza…Allora in certi casi bisogna assumersi la responsabilità di decidere, per quella persona non più in grado di farlo…non contesto lo strumento del TSO(La dignità dei devianti, pag 29, n 411,di “A” rivista anarchica, novembre 2016 ). Lo psichiatra “anarchico-riluttante”, dunque, sostiene che coloro che incappano nel TSO sono persone “sofferenti” che vengono internate nei reparti psichiatrici di diagnosi e cura per essere “liberate” da una sofferenza che gli ha fatto perdere la libertà. Purtroppo non possiamo più chiedere a Francesco Mastrogiovanni, maestro e anarchico, la sua opinione in merito a questa teoria della “liberazione” dalla sofferenza, sostenuta e praticata  dagli psichiatri attraverso il ricovero coatto, visto che è morto dopo quattro giorni di torture perpetrate sul suo corpo di condannato nel reparto di diagnosi e cura dell’ospedale di Vallo della Lucania, dopo essere stato arrestato sulla spiaggia, anzi in mare, mentre cercava di sfuggire  ai carabinieri che erano stati avvertiti che il maestro-anarchico guidava con “lo sguardo perso nel vuoto” e segregato, grazie al TSO, nel reparto di diagnosi e cura dove medici e infermieri hanno tentato di “liberarlo” dalla sua “follia” e sofferenza, perché lui non era in grado di farlo.

 L’Antonucci di Cividale.

Il tentativo di demolizione della figura di Antonucci continua a pag 30, quando Cipriano, sostenendo che le premesse teoriche avvicinavano tra di loro Basaglia, Antonucci e Szas , sottolinea che era la pratica a dividerli: dedito al suo impegno sisifico di liberare interi manicomi il primo, dedito alla sua “marginale e irrilevante” esperienza di Cividale conclusasi dopo solo sei mesi, il secondo, dedito al lieve esercizio di psicoterapia il terzo. E qui si capisce che dietro l’attacco ad Antonucci c’è lo psichiatra che vede messa in discussione la propria esistenza e sopravvivenza, visto che Antonucci, proprio a proposito di Cividale, senza cedere alle lusinghe di chi vedeva in quell’azione l’inizio del movimento di riforma della psichiatria, ribadisce, senza alcuna ambiguità, il punto di vista fondamentale che aveva guidato l’azione del gruppo di Cividale: “ Noi non riteniamo possibile separare la negazione delle istituzioni psichiatriche dalla negazione della psichiatria come scienza, perché è per l’appunto la psichiatria che ha costruito i manicomi, che li costruirebbe ancora, e che continua a giustificarne l’esistenza [..] Sul piano politico si potrebbe fare un parallelo molto significativo. Non è possibile apprestarsi a distruggere i lager e i ghetti senza negare e distruggere l’ideologia della razza, di cui i lager e i ghetti sono una logica e inevitabile conseguenza”. Peraltro quello di Cividale è stato solo il primo ( seppur importantissimo) dei numerosi incarichi ricoperti nella sua lunga vita di medico ( svolta tutta negli ospedali pubblici e, fuori da questi, prestata solo gratuitamente nei confronti di tutti e tutte coloro che ne hanno richiesto l’intervento) che solo quando si conclude, per la repressione poliziesca che porta alla chiusura del reparto, aveva 12 pazienti. Ma dopo quell’esperienza, Antonucci, l’anno successivo, viene invitato a Gorizia, a lavorare nello stesso ospedale di Basaglia e poi a Reggio Emilia, chiamato da Jervis, dove diviene responsabile del Centro di igiene mentale nel 1970  e dove matura la definitiva distanza tra una pratica tesa a ragionare in termini di tutela dell’ordine pubblico (Jervis) e una tesa a ragionare in termini di conflitto tra individuo e società e di diritto dell’individuo ad essere rispettato nella sua libertà ( Antonucci). Terminata l’esperienza a Reggio Emilia, Antonucci si dedica, dal 1973 al 1997 ( cioè per ventiquattro anni), allo smantellamento dei reparti manicomiali di lungodegenti negli istituti e dal 1997 continua a dedicarsi ( gratuitamente), senza aver mai abbracciato la professione privata, alla sua battaglia per lo smantellamento di quei residui manicomiali che sono i reparti psichiatrici dei servizi di diagnosi e cura (SPDC ), proprio dove lavora anche Cipriano, che non a caso dedica il terzo attacco ad Antonucci proprio in difesa di questi reparti.

L’Antonucci “ eretico” smantellatore del TSO

Afferma Cipriano:Si può lavorare da manicomiale in un CSM e da territoriale in un SPDC. Facendo, in fondo ciò che Antonucci dice di fare: revocare i TSO o non convalidarli, sciogliere i legati o non legarli, ridurre il carico dei farmaci, dimettere qualche paziente, prendere un paziente ricoverato da molti mesi in SPDC e portarlo a vedere sua madre che non vede da mesi in una casa di cura in cui è ricoverata.C’è da rimanere sbalorditi, ma cosa significa “ facendo, in fondo, ciò che Antonuccidicedi fare”, cioè revocare i TSO?  Antonucci nondicedi farlo, lo ha fatto (e questo appartiene oramai alla storia) attuando concretamente e incessantemente tale pratica dal 1968 al 1997, ben oltre la data dell’approvazione di una legge, che se non avesse avuto medici e infermieri ad applicarla sarebbe rimasta semplicemente lettera morta. Ma Antonucci non si è fermato a quello, è andato oltre tale pratica, evidenziando ancor prima che fosse approvata la legge 180, i limiti di un’azione tesa ad abolire i manicomi, senza preoccuparsi di demolire il vero elemento su cui si basa il potere psichiatrico, “l’arresto psichiatrico”. D’altra parte lo dice già Foucault quando, nella Lezione del 7 novembre 1973, inquadra gli spostamenti da lui operati nel corso che presenta, rispetto allaStoria della folliae ci dice che uno di questi spostamenti riguarda proprio la nozione di istituzione, in quanto la cosa essenziale non è tanto l’istituzione quanto piuttosto il potere psichiatrico che ne consente il funzionamento.“L’aspetto importante non è dunque costituito dalle regolarità istituzionali, bensì, e in misura molto maggiore, dalle disposizioni di potere, dalle correlazioni, dalle reti, dalle correnti, dagli scambi, dai punti di appoggio, dalle differenze di potenziale che caratterizzano una forma di potere, e che credo siano appunto gli elementi costitutivi al contempo dell’individuo e della collettività[…]Ed è solo sul fondo di questo reticolo di potere, che […] qualcosa come l’individuo, il gruppo, la collettività, l’istituzione appare. Detto in altri termini, prima di riferirci alle istituzioni, dobbiamo preoccuparci dei rapporti di forza sottesi alle disposizioni tattiche che attraversano le istituzioni.”(pagg.24-28 Michel Foucault Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France 1973-74-Ed Feltrinelli).E’ esattamente questo che sostiene Antonucci quando parla di abolire il TSO: se si elimina il manicomio, ma se ne lasciano intatti gli elementi costitutivi, l’istituzione manicomiale tende a riprodursi, con i suoi meccanismi, i suoi reticoli di potere, appoggi e rapporti di forze che lo riperpetuano eternamente.

Cipriano attaccando Antonucci in questo modo, e sostenendo che si può lavorare da manicomiale in un CSM e da territoriale in un SPDC, perché è sufficiente revocare i TSO o non convalidarli o dimettere qualche paziente, prendere un paziente ricoverato da molti mesi in SPDC e portarlo a vedere sua madre che non vede da mesi in una casa di cura in cui è ricoverata, rischia di rendersi semplicemente molto simile a quel Tobino di cui lui stesso, giustamente, traccia un profilo critico nel primo dei suoi libri. Si condanna a fare letteratura, raccontando la sua diversità e, pur ritenendosi in trincea, si comporta come lo psichiatra-scrittore che non voleva abolire il manicomio e attaccava proprio Antonucci per le sue pratiche irrituali, così come lui, ora, non volendo eliminare il TSO, che è l’essenza stessa della realtà manicomiale, attacca, ancora, Antonucci “l’eretico”.  E’ interessante, a questo proposito, leggere laLettera aperta a Mario Tobinoche Gianni Tadolini scrive nel settembre del 1978 allo psichiatra-scrittore, che aveva attaccato Giorgio Antonucci proprio riguardo allo smantellamento dei manicomi, che era stata e continuava ad essere la sua pratica quotidiana . Nella lettera si legge “Caro Tobino, credo che non basti andare a ‘prendere’ il caffè, a passeggiare o giocare a carte con i ricoverati per sentirsi giustificati; per essere contro quel potere che, direttamente o indirettamente, è responsabile dell’emarginazione di tanti individui […]Mi dispiace caro Tobino, forse sei rimasto indietro, perché ti sei fossilizzato sul sintomo. Sei rimasto ancora prima di Freud: sì, perché già Freud ci insegnava che il sintomo è solo l’epigono di una storia e solamente dalla conoscenza di questa nasce quel sapere che decifra il delirio e  spacca e distrugge il sintomo stesso”. 

L’intento di questo scritto non è, naturalmente, quello di convincere Cipriano in merito all’abolizione del trattamento sanitario obbligatorio, è comprensibile che uno psichiatra non sia d’accordo con l’eliminazione dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura di cui pure denuncia le nefandezze, ma in cui lavora, pur con tutte le contraddizioni, ciò che non si può accettare è che, invece di sostenere semplicemente di non essere d’accordo con le teorie di chi professa il contrario, cerchi di demolire non l’idea, ma la persona, il che è una caratteristica propria del potere psichiatrico, che cerca, sempre, di annullare chi si schiera contro il proprio pensiero. Se Cipriano crede, però, di risolvere con tale atteggiamento  la sua problematica contraddizione, commette un grave errore di prospettiva che limita le sue stesse potenzialità, continuando ad usare il proprio potere non per smaltirlo ma, ancora, per esercitarlo.

Anna Grazia Stammati*

*Anna Grazia Stammati è docente di Lettere nelle scuole superiori, insegna dal 1997 presso il carcere di Rebibbia. E’ componente dell’esecutivo Cobas e presidente del Centro studi scuola pubblica, attraverso il quale ha istituito la “ rete delle scuole ristrette”, aprendo un focus sul mondo dell’istruzione nelle istituzioni penitenziarie e sulla scuola in carcere quale dispositivo di innovazione, laboratorio aperto al territorio e luogo della relazione. Dal 2012 è presidente del Telefono Viola, associazione fondata da Alessio Coppola e Giorgio Antonucci, che dal 1991 si occupa di abusi e di violenze psichiatriche, la cui attività conferma l'esistenza di una questione psichiatrica. La media generale delle telefonate al Centro Ascolto del Telefono Viola, che arrivano da tutta Italia e denunciano abusi psichiatrici, continua, infatti, ad essere alta, nonostante la presenza di più associazioni che si occupano della psichiatrizzazione violenta, legata non solo ai cosiddetti residui manicomiali, ma soprattutto a una privazione frequente della libertà personale di migliaia di cittadini sottoposti a diagnosi di malattia mentale( www.telefonoviola.it).

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