GIORGIO ANTONUCCI

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Cominciai a capire che la medicina non funzionava quando entrai negli ospedali e mi accorsi che le relazioni con i vivi sono condotte con la stessa indifferenza che si ha verso i morti. E scoprii che la nostra medicina è un intervento sull’oggetto da accomodare. [...]

 Appare bizzarro, ed è terribile e disumano che, nel momento in cui una persona sta soffrendo, non ci sia il minimo interesse umano per quanto prova. È un modo che facilita la morte, un modo accettato passivamente da tutti, come se fosse naturale. L’ospedale così com’è oggi non risponde assolutamente alle necessità dei cittadini; è un luogo dove si va per essere riparati come degli oggetti, o dove si va a morire senza che nessuno prenda in considerazione il fatto che non siamo degli oggetti, bensì persone.(Giorgio Antonucci)

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Michel Foucault: Il potere psichiatrico

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Le lezioni tenute al Collège de France tra la fine del 1973 e l’inizio del 1974 sono sorprendentemente attuali. Siamo negli anni caldi del dibattito antipsichiatrico, della rivoluzione manicomiale di Franco Basaglia e degli esperimenti di Thomas Szasz, di David Cooper e della londinese Kingsley Hall, uno dei primissimi centri di accoglienza non segregativi. Foucault riprende il tema della Storia della follia, in cui aveva ricostruito la genealogia del manicomio e del potere medico-psichiatrico come conseguenza dei progressi del sapere scientifico.

Ma ora è più interessato alle strategie, alle azioni, agli stratagemmi, ai rituali che hanno permesso agli psichiatri di assumere il controllo dei corpi. Il modello adottato è quello della guerra: nell’uso degli strumenti di contenzione o delle docce gelate Foucault riconosce non l’inizio per quanto brutale di una presa in carico medica, bensì la messa a punto di una serie di tattiche di assoggettamento dell’altro, tecniche di potere di cui l’ospedale psichiatrico è solo un laboratorio privilegiato. Ciò che vale oggi per i folli varrà domani per i delinquenti, per gli irriducibili alla disciplina scolastica e per tutti coloro che l’organizzazione disciplinare del sociale bolla come suoi "residui". La progressiva psicologizzazione e normalizzazione della nostra vita odierna appare come l’epilogo drammatico di questo progressivo estendersi a tutti gli aspetti dell’esistenza delle tecniche di controllo nate per "trattare" la follia. E la crisi che attraversa oggi il mondo "psy" può essere letta come l’inessenzialità di una professione quando questa è giunta a permeare di sé la società intera.

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